Quante ore si deve (davvero) dormire?
Non è solo una questione di tempo
Le regola aurea delle otto per notte è superata. Ci sono persone cui basta meno,
però bisogna capire se si rientra «per natura» in questa categoria. Chi dorme
meno di sei ore sarebbe in grado di consolidare in modo più efficace i ricordi
Otto ore di sonno per stare bene: è questa la regola. Forse. In passato pareva quasi certo che otto fosse il numero perfetto, ora si comincia a capire che la dose di riposo ideale può essere diversa per ciascuno di noi.
I brevi dormitori
In media la maggioranza trova ristoratore un sonno compreso fra sette e nove ore, ma discostarsi un poco (non troppo) da questi numeri non è sinonimo di qualcosa che non va. Esistono per esempio i brevi dormitori, vispi e attivi dopo aver riposato meno di sei ore: una ricerca appena pubblicata su Brain and Behavior ne ha studiato a fondo le connessioni cerebrali, attraverso la risonanza magnetica, dimostrando che sono più efficienti e ramificate per esempio fra la corteccia sensoriale, che raccoglie le informazioni dall’esterno, e l’ippocampo, dove si formano le memorie. Secondo gli autori i brevi dormitori sarebbero perciò capaci di consolidare i ricordi in modo più efficace, ovvero riuscirebbero a compiere anche di giorno una delle funzioni biologiche essenziali del sonno: lo farebbero in momenti di “noia” in cui il cervello non è molto stimolato e questo basterebbe a ridurre il bisogno di ore di riposo notturno. Attenzione però: stando ai dati raccolti, una buona parte dei brevi dormitori in condizioni di bassa stimolazione si addormenta da pochi secondi a un minuto, spesso senza accorgersene.
Sentire meno la stanchezza
«Nei brevi dormitori pare che il sistema di allerta cerebrale sia sempre in iper-attivazione, per cui in situazioni monotone o “soporifere” possono finire per addormentarsi più facilmente — dice lo psicologo Brian Curtis, autore dell’indagine —. Una sonnolenza latente che potrebbe rivelarsi rischioso per esempio se ci si trova alla guida di notte da soli». «I brevi dormitori vivono in una sorta di equilibrio al limite della deprivazione di sonno — osserva Lino Nobili, responsabile del Centro di medicina del sonno dell’Ospedale Niguarda di Milano —. Hanno infatti bisogno della stessa quantità di sonno a onde lente, quello profondamente ristoratore, ma riescono a concentrarlo di più rispetto agli altri: è come se vivessero in un continuo tentativo di recupero e vi si fossero adattati. Inoltre questi soggetti hanno un grado di vigilanza maggiore: la percezione della sonnolenza non dipende infatti solo dalle ore dormite, ma anche da quanto si sente la fatica e i brevi dormitori sono più “eccitati”, sentono meno la pressione della stanchezza».
Il corpo ci fa capire se dormiamo poco
Pare che anche alcuni tratti genetici possano spiegare la capacità di sentirsi freschi e riposati dopo quattro ore di sonno, ma come spiega Federica Provini, segretario dell’Associazione Italiana di Medicina del Sonno (AIMS), «I veri, brevi dormitori sono pochi e si riconoscono perché pure in vacanza o nei fine settimana, quando sono liberi dagli impegni, dormono pochissimo. La giusta dose di sonno per ciascuno si può capire proprio quando non si deve puntare la sveglia: se tendiamo a stare di più a letto significa che cerchiamo di recuperare un deficit». «Se stiamo dormendo poco ce ne accorgiamo dalla qualità della veglia: una sonnolenza continua, difficoltà di concentrazione e attenzione, piccoli deficit di memoria sono il segno che il riposo è troppo breve — aggiunge Nobili —. Anche il pisolino pomeridiano può contribuire alla dose di riposo giusta, basta che sia espressione di un’abitudine personale e non di un bisogno incoercibile, magari sentito più volte al giorno: nel secondo caso è spia di un sonno che non funziona al meglio. Attenzione poi al recupero da weekend: dormire troppo a lungo può rendere più difficile addormentarsi la sera dopo, peggiorando la situazione». Ciò che conta insomma è trovare il proprio ritmo, quello che ci fa “funzionare” bene di giorno, senza preoccuparsi troppo della regola delle otto ore che sono solo una media generale. «Il giusto sonno, poi, andrebbe anche collocato in maniera corretta nell’arco delle 24 ore — specifica Provini —. Il riposo infatti va sincronizzato con il proprio orologio biologico: i ritmi di ormoni, temperatura corporea, frequenza cardiaca, pressione e via dicendo devono “andare d’accordo” con quello del sonno e con il ciclo luce/buio».
La qualità è importante ma difficile da misurare
Non conta solo la quantità, ma anche la qualità del sonno difficile però da indagare. «Si riesce a scoprire la qualità del sonno solo con la polisonnografia, un tracciato da eseguire in un laboratorio attrezzato — spiega Federica Provini del Centro di medicina del sonno dell’università di Bologna—. A volte i pazienti dicono di dormire male ma l’esame è normale: c’è una forte componente soggettiva nella percezione del sonno». Ciò che ne mina la qualità è per esempio la tendenza ai micro-risvegli, l’instabilità dei cicli (sintomo di un cervello sempre in allerta), l’alterazione delle fasi REM. Se si ha la sensazione di dormire male, bisogna innanzitutto parlarne al medico di famiglia: «A volte la causa sono patologie che disturbano il riposo, come l’ipertrofia prostatica che costringe a frequenti risvegli per andare in bagno — dice Provini —. In altri casi l’insonnia è una manifestazione secondaria a disturbi del sonno correlati alla respirazione, come le apnee, o al movimento, come la sindrome delle gambe senza riposo. Se i fastidi persistono è bene rivolgersi a un centro di medicina del sonno: l’importante è non convivere anni con l’impressione di riposare male».
di Elena Meli
21 novembre 2016 (modifica il 21 novembre 2016 | 09:23)
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